Verso il nessun luogo il fin quando ed il perché

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Forte e originale voce poetica della ellenica Cipro, Alexandra Galanù torna nel 2022 alla poesia con una nuova raccolta che offre vari spunti di peculiarità. Intanto, il titolo: allusivo ed enigmatico, lascia al lettore il privilegio di tentare da sé un non facile tentativo apocrittografico. Che cosa possono voler dire le parole “Verso il nessun luogo il fin quando e il perché”? Probabilmente la poetessa ha voluto indicare l’assurdità di una realtà esistenziale non collocabile in una dimensione ben definita non solo sul piano temporale, sincronico e diacronico, ma in generale nella varietà di esperienze di vita riconducibili ad una certezza di significato e persistenza. O forse ci vuole dire che ciò che agli occhi della gente comune appare come epifania
di dati oggettivi è invece la certificazione di un mondo costruito a caso – o alla rovescia – e comunque non soggetto ad una unicità di interpretazione organica e razionale?
La raccolta contiene ventidue poesie precedute da una senza titolo che però ha una certa importanza perché, a mio parere, fornisce nella sua indefinita ambiguità la chiave di lettura delle altre poesie.
In sostanza tutta la raccolta si configura come il tormentato diario di una esistenza scandita da varie tappe di una introspezione volta a registrare confuse immagini affioranti alla coscienza o per il richiamo di analogie più o meno consapevoli, o per il voluto ripiegamento nel rifugio della memoria. In effetti anche questa raccolta ribadisce con maggiore efficacia e tensione le linee portanti che caratterizzano la Weltanschauung già espressa dalla poetessa nella sua precedente produzione, e cioè la concezione di una realtà sfuggente ed effimera come la nebulosità atmosferica che si forma dal nulla e nel nulla svanisce. Il mondo da lei rappresentato è in perpetuo stato di decadenza e disfacimento che si materializza in struggenti immagini di cose, persone e sentimenti definitivamente perduti. In coerenza con questa visione del mondo circostante il motivo della “assenza” è variamente rappresentato. Non si tratta di una generica elencazione di tutto ciò che il tempo si è inesorabilmente lasciato alle spalle, ma della dolorosa presa di coscienza della realtà quotidiana che deve fare i conti, giorno dopo giorno, delle persone e delle cose che non rispondono più all’appello. Questo vuol dire, quindi, il rifiuto dell’attualità ambientale così come è venuta a configurarsi.
Come per le poesie delle precedenti raccolte, anche in questa abbondano quadri di siti architettonici in abbandono e semidiroccati, come case cadenti, finestre sgangherate, pareti perforate. A questo atteggiamento psicologico corrisponde analogo adeguamento del lessico che, oltre ai termini, peraltro abituali all’usus scribendi della poetessa, connessi alla frammentazione e caducità, ci offre immagini traslate di forte impatto stilistico. Così, accanto alle ovvie considerazioni suscitate dal ritrovamento di vecchie fotografie che rende difficile il riconoscimento di sembianti familiari (si vedano ad esempio le poesie “ Domeniche vuote” e “La fotografia”), troviamo la singolare raffigurazione di un duello ingaggiato tra un anonimo interlocutore proteso nello sforzo di imprigionare un raggio di luce e l’oggetto appunto dell’inseguimento che sfugge al suo persecutore (nella poesia “Giochi di vita”). Nella rassegna di cose tanto invecchiate da essersi definitivamente ridotte ad uno stato di totale aridità e secchezza, risalta l’inserimento di diversi oggetti e modi sottoposti ad un processo che la poetessa battezza di “essiccazione”: con tale denominazione si menzionano non solo il fango (“Messa di suffragio”), ma anche le lacrime (“A 40 gradi”) e perfino i sogni (“La ricetta”). Diffusa è anche l’immagine dell’occultamento in angoli appartati non di entità fisiche ma di riecheggiamenti di sentimenti e avvenimenti (“Reclusione”, “Abbandono”, “Famagosta, novembre 2020”). Quest’ultima poesia adombra, anche nell’idiomatismo dialettale cipriota del titolo, la tragica vicenda della brutale e ancora perdurante occupazione turca.
Sempre in tema di osservazioni lessicali potrebbe sembrare banale, ma è invece di forte efficacia emotiva, il tragico gioco di parole (nella poesia “La bambola”) evocato dalle assonanze verbali fra il nome della organizzazione terroristica Boko Haram e l’harem a cui furono destinate le ragazze rapite in quel crudele fatto d’armi.
A conclusione di questa breve nota mi piace riportare i versi della poesia “Il primo verso” della sua raccolta Parentesi e virgolette (2017) che sono appunto in linea con il senso di caducità e inanità a cui la poetessa continua ad ispirarsi: “C’era una volta/ una poesia/ con pretese, ambizioni/ e propositi elevati/… Eppure questa poesia/ non fu scritta mai./ A quanto si dice, il suo primo/ verso rifiutò di vedere la luce, / preferì per sempre/ la matrice del silenzio”.
V. R.

Tipologia

Cartaceo, PDF

Autore

Alexandra Galanu

Editore

PUP

ISBN

978-88-5509-506-8, 978-88-5509-507-5

Pagine

62