Il quarto centenario

Il quarto centenario de “li Apparati & feste fatti in Palermo per la canonizzazione de’ Santi Ignazio & Francesco Xavier l’anno 1622”

Il 12 marzo di quattro secoli or sono fu il giorno della canonizzazione dei Santi Ignazio e Francesco Saverio, e l’evento fu celebrato con la massima intensità in tutte le residenze della Compagnia. Nella ricorrenza del quarto centenario, la lettura dei tre testi[1] dedicati agli eventi a Palermo scritti da Tommaso D’Afflitto[2] e Giovanni Domenico D’Onofrio[3], ci consente, oltre che di “immedesimarci” nelle celebrazioni, anche di conoscere lo stato delle fabbriche a quella data.

Nel testo Ragguaglio de li Apparati D’Afflitto scrive che “Le feste che … si son fatte a Palermo sono state tali che indegna cosa ci pare non commetterle alle carte … per dar qualche ordine al dire par dovere che dalla Casa Professa si dia principio, come prima delle altre due Case, che ha in questa Città la Compagnia, che sono il Collegio e il Noviziato”.

Dopo la descrizione del “Modello della Chiesa della Casa Professa” (utile per conoscere lo stato della fabbrica a quella data), D’Afflitto descrive “l’Apparato di detta Chiesa fatto col Disegno di Vincenzo La Barbera Terminese[4], Architetto e Pittore segnalato … la vivacità delle Figure, la varietà, e grazia dei Cartocci, la vaghezza dei Grotteschi & Arabeschi, la gentilezza dei Rilievi… Nella Cupola dunque non finita vi si pose una Soffitta di tela con pittura a sguazzo: dove talmente si vedean le Prospettive ben prodotte al punto … che l’occhio realmente credea che s’alzasse vieppiù la Soffitta”.

Nel centro della navata “calar si vedeva il Padre Eterno di venticinque palmi[5], scorcio, attorniato d’Angioletti pure scorci”, le “otto finestre che nel loro squarciato parean di broccatello”. E ancora festoni, mascheroni, cartoccioni attaccati alle vele, finte balaustre da cui sporgevano ritratti di Gesuiti, scudi in cui erano dipinte le “attioni del Santo”. Nei pilastri del lato destro si posero le storie di Ignazio, nel “manco” quelle di Francesco. La chiesa era illuminata da “molti Cerei da una libra e mezzo[6] l’uno che a tempo suo accesi con le torce faceano bellissima vista” dal cornicione. E ancora palii, calici, candelieri, vasi d’argento, lampieri e lampierini. All’esterno “dinanzi al portone si vedeva maestoso un Portico in forma di Arco Trionfale… con tre passaggi”.

Per la città non mancarono le luminarie: nel Palagio del Cardinale, nel Duomo, nella Corte del Pretore. La domenica, dopo che “in Casa Professa si cantò dal Cardinale Arcivescovo Solenne Messa” si avviò la processione: aperta dalle “quattro Congregazioni del Collegio, de’ Rettorici, de’ Grammatici, degli Humanisti e quella della Missione”.

Davanti al Collegio “L’arco trionfale eretto davanti il Collegio… fu fabbricato dalla pietà de’ Giovinetti delle congregationi… della Concettione e della Assuntione della Vergine[7].

Soffermiamoci sulla Congregazione “della Concettione”. Riteniamo che se ne possa identificare l’ambiente con la sala a piano terra, a destra entrando dal portone del Collegio sul Cassaro, dove è stato ritrovato l’affresco che, ben probabilmente, è proprio simbolo della dedicazione, tant’è che Vincenzo Scuderi[8] lo ha titolato proprio L’Immacolata nel decreto di Dio. L’opera è quasi miracolosamente apparsa nel 1988, quando i locali già destinati a uffici furono ristrutturati per la realizzazione dell’odierno Laboratorio di restauro della Biblioteca centrale della Regione Siciliana: dismessi i controsoffitti, l’opera tornò a vedere la luce, sopravvissuta al crollo della soprastante sala di lettura con i bombardamenti del 1943. La figura dell’Immacolata è in forma statuaria, su di un piedistallo su cui poggia un dito l’Angelo annunziante. A destra la figura veneranda dell’Eterno viene resa come quella del “Motore stesso della Incarnazione del verbo”, nell’atto stesso di stendere quell’Unico Decreto – il grande foglio bianco steso sulle ginocchia – alle origini del mondo (Colui che volse il sesto allo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto, Dante, Paradiso, 19, 40-42). Quanto all’autore Vincenzo Scuderi ritiene di poter attribuire l’opera al giovane Pietro Novelli “su basi esclusivamente stilistiche, ma di palmare evidenza; per la calda e dorata intonazione cromatica e per la nobilissima iconografia dell’Eterno che, assieme al tono pittorico, gli resteranno tipici.

Attraversato l’arco, la processione entra nel Collegio. “La facciata fra i più magnifici edifici della Città era d’alto in basso vestita di panni di Razza[9]… coronala un Cornicione di pittura, nel cui Fregio si leggeva ben grande un’Iscrittione … nell’entrata maggiore, che ornata tutta andava a guisa d’arco trionfale co’ suoi cornici, pilastri e capitelli di rilievo… nel cortile (il quale è quadro cinto di colonne)… moltitudine di pitture… [Nelle] pareti sotto gli archi… tra un pilastro e l’altro… trentacinque Quadri, alti ognuno ventidue palmi, larghi quattordici [quindi quasi sei metri per oltre tre]… i quattro lati del cortile dedicati alle quattro Scienze e facoltà del Collegio [le Lettere, la Matematica, la Filosofia, la Teologia]. [Nel cortile] quadri [in cui] tra vaghe prospettive vedeano gli edifici… che la Compagnia tiene in questa provincia…[10].

Il cantiere ancora in corso è confermato dal dire che “Sta sopra il cortile nella parte di Tramontana una Loggetta quest’anno fornita, di sete e ricami faceva bella prospettiva.

Loggetta quest’anno fornita. Ben probabilmente la definizione degli ambienti del primo ordine non era completa se non per il fronte sul Cassaro, e quindi la loggetta potrebbe essere la prima parte del loggiato che, probabilmente dalla seconda metà del XVII secolo, percorre su tre lati i fronti interni dell’edificio.

Per compimento dell’apparato fabricossi nel mezzo del cortile una Fontana marmorea, da cui sopra una bianca nuvoletta s’alzavano i Santi Ignazio, e Xavier [che] sostenevano entrambi un Giesù con una corona in cima appoggiata solo alle punte de’ raggi del Santissimo nome. Stava nel mezzo… il Sole, a cui per l’artificio della spinta che all’uscita faceva l’acqua raggirandosi in cerchio d’Intelligenze, facevano intorno festevol corona.

Segue la descrizione dello “Apparato della Chiesa del Collegio: dal cortile prese cammino la processione di un Choro sceltissimo di musica adunati per le loggie del Cortile, andarono in chiesa”.

Prima di “andare” anche noi in Chiesa, vediamo di definire quale fosse, in quel 1622, l’assetto della “Chiesa del Collegio”.

Quando (1586) la Compagnia acquistò nel Cassaro i Palazzi Montalto e Ventimiglia destinati a lasciar spazio al Collegio, acquisisce (non è ancora stato chiarito per quale diritto o proprietà) anche la piccola chiesa dedicata a San Pantaleone “templum celebre quidem ac nobile”. Così scrive l’Amato: “Pan. Soc. J. Collegio 14 Oct. 1586 ut novum templum erigeret, neglectam S. Pantaleonis aediculam evertendam indulsi, postuma aurei 4000 in atti Jacobi Gallassi, 13 Aug.1586, empito Antonimi Montalti, Annaeq; Vigintimilliae palato, cui addensa realtà aderse, beneficiamo tarenorum 24 & bus presentanti, utrumq; Mar.llo rinuncians, proibiste, augusta in ecclesia, S. Martiri sacellum dicare”.[11] Le fonti indicano San Pantaleone come una delle chiese di rito greco presenti nella zona, insieme a San Giorgio lo Xhueri poi detta dei Tre Re (in Via di Montevergine), e San Cristoforo (nella omonima via, poi del Giusino). Di Giovanni[12] alla fine del XIX secolo scriverà soltanto che “sull’antica ruga che dalla Porta di Sant’Agata conduceva alla Platea Marmorea era pur la Chiesa di San Pantaleone, greca”, facendo ritenere che l’ingresso fosse sulla ruga e non sul Cassaro.

Sorse così di lì a breve una seconda Santa Maria della Grotta, che essendo il titolo di Abbate appannaggio del Rettore del Collegio, a questa vennero trasferiti titoli, rendite e arredi della prima (inglobata nel complesso della Casa Professa); ebbe però vita breve, se mai fu ultimata (e probabilmente non lo fu), poiché prestigio e ricchezza consentirono alla Compagnia, nel giro di due decenni, di mettere mano ad ulteriori lavori, “talché detta Chiesa si rifece nel 1615 in più magnifica forma, e solennemente si consacrò da Monsignor D. Antonino Marullo… a 12 marzo 1646”.[13]

Quindi, nel 1622 la Chiesa era sicuramente un cantiere in fieri (che sappiamo durerà sino ai primi anni del XVIII secolo, quando sarà ultimato l’affresco nella volta, opera di Filippo Tancredi).

Entriamo in Chiesa. Questa era “riccamente pure, e pulitamente acconcia… il Cappellone, oltre i mischi di cui pur’era prima assai ricco, fu lavorato in molte parti d’oro, e con due belle, e grandi pitture de’ Santi Pietro e Paolo[14] da due lati adornato. Le Cappelle di finissimi drappi vestite. L’atrio di sete, quadri e verdure con ordine, e vaghezza grandissima. La nave altro ornamento non hebbe che quello che col tempo haverà. Imperochè vollero i Padri con artificiosa pittura di mischio far l’esperienza ne’ nostri tempi di ciò, che altra età haverà a godere nel vero. Fu la pittura ripartita per tutto ne’ due ordini di pilastri, e cornicione, con che ella va’ architettata, similissima nella varietà dei colori e figure, a quelle poche pietre che infatti vi erano, lasciando il resto della fabbrica in bianco, per dare l’uno all’altro con la distinzione bellezza. La volta era dorata da fogliami et arabeschi abbellita… la facciata fu fabbricata tutta di pittura in rilievo con bellissima simmetria: dove e statue e geroglifici, et emblemi faceano a gara per abbellirla… sopra vi si pose un Gesù di trentadue palmi di diametro pieno di lumi che sembrava un sole”.

Più termini confermano i “lavori in corso”: “il Cappellone, oltre i mischi di cui pur’era prima assai ricco… La nave altro ornamento non hebbe che quello che col tempo haverà… con artificiosa pittura di mischio far l’esperienza ne’ nostri tempi di ciò che altra età haverà a godere… la pittura ripartita … ne’ due ordini di pilastri… con che ella va’ architettata, similissima … a quelle poche pietre che vi erano”. Quindi una “artificiosa pittura” simulava l’ipotizzata decorazione marmorea, che quasi certamente non fu mai realizzata, poiché grazie alle uniche due note fotografie che mostrano l’interno di Santa Maria della Grotta prima della sua demolizione per far posto all’ingresso della allora Biblioteca Nazionale (post 1945), sappiamo che le pareti erano intonacate e non intarsiate. L’atrio ornato di sete e quadri può identificarsi nel sottocoro della nascente Santa Maria della Grotta, e i trentadue palmi di diametro dell’immagine di Cristo corrispondono a circa 8 metri!

Il lunedì, secondo giorno, “I Rettorici del Collegio co particolar solennità festeggiarono i Santi nel Salone del Collegio: ampia e magnifica stanza… e fu l’ornamento tutto in due ordini compartito, Ionico l’uno, l’altro Dorico. Andava nel primo ordine attorno il cornicione di finto marmo, nel cui Fregio… si leggeva un erudito… sostenevano il cornicione e il fregio quarant’otto Pilastri disegnati bellissimi, dai quali al vivo si spiccavano certi termini con varie e mostruose figure… ripigliavano il secondo ordine altri quarant’otto mezzi pilastri… che coi loro menzoloni sostenevano l’ultimo cornicione… a capo del salone sotto un Tosello di Broccato riccio un quadro dei due santi… [il salone era] coperto tutto tutto da una suffitta d’un cielo stellato… la scala, ancora, per dove ad esso si sale, era ornatissima: dove al primo incontro si vedeva un’iscrittione per dichiaratione del tutto”.

“La scala… per dove ad esso si sale, era ornatissima”. A quella data, la scala era soltanto una semplice e piccola scala non più esistente (dopo la trasformazione del Salone del Collegio in Biblioteca dell’Accademia dei Regi Studi, nel 1778); la conosciamo grazie alle planimetrie storiche[15], la cui serie più antica è databile proprio tra il 1615 e il ‘28. L’ingresso dal Cassaro avviene attraverso il portone, la chiesa è indicata come uno spazio bianco, con la sola croce a indicare l’altare; il collegamento tra chiesa e Collegio avviene attraverso un passaggio. I vani attorno al baglio sono tutti occupati dalle scuole e dalle congregazioni; la scala per la sala è nel braccio sul Cassaro.

Il martedì la celebrazione si sposta al Noviziato “come luogo dove altro studio non si professa che di virtù e mortificazione … fatto dunque un liberale invito ai poveri e mendichi della città … apparecchiò loro uno splendido banchetto nel proprio luogo”.

La fondazione del Noviziato, o Terza Casa del SS. Sacramento, era stata avviata nel 1591. La Casa, poi dedicata a San Stanislao Kostka, occupava la zona di ponente della città, a ridosso di uno dei bastioni della cinta muraria, poi indicato proprio come “bastione del Noviziato”. La costruzione della chiesa si avvia nel 1607, ma si completa solo un secolo più tardi; la chiesa è nota anche come “Madonna del Lume”, per la devozione che fu promossa dal gesuita Padre Antonio Genovese, per una visione che ebbe “nel 1722 una pia donna palermitana, veggente, e che su sua sollecitazione, chiese a Maria, durante una apparizione, come volesse essere raffigurata ed invocata. Maria le si manifestò nella Chiesa di San Stanislao al Noviziato così come voleva essere raffigurata e chiese di essere invocata come Maria Madre Santissima del Lume”.

Torniamo al 1622. Il sabato, infine, giunse a Palermo “un Ambasciadore che da Roma portava al Collegio lo Stendardo per donarlo ai Santi”. Dal molo una fastosa processione si diresse al Collegio, dove fu accolta da uno “sceltissimo coro di musica per sotto le logge del Cortile pieno di lumi”, e “compì le feste un magnificentissimo Carro fatto dalla Congregazione de’ Filosofi alla forma di un galeone trenta palmi alto, lungo venti e nella maggior larghezza quattordici”[16] che percorse il Cassaro dal mare sin davanti la Chiesa del Collegio, dove una “Colonna machina di fuoco … durò lungo tempo con giochi, razzi, e fiamme”. E con questa descrizione si chiude il volume.

Il testo di Giovanni Domenico D’Onofrio è dedicato “AGL’ILLUSTRI SIGNORI CONGREGATI DELL’ACCADEMIA PARTENIA NEL COLLEGIO DELLA COMPAGNIA DI GIESU”[17], e vuol far “vivere” gli apparati a “quei che non v’intervennero”, trascrivendo così anche i testi riportati nei quadri, nei cartocci, negli epigrammi e descrivendo minuziosamente i temi delle pitture, con ampie citazioni dei riferimenti biblici. E che poco aggiungono alla descrizione del D’Afflitto. Riportiamo soltanto il testo nel “cornicione a pittura” sulla facciata del Collegio: “SS. Ignatio, ac Francisco Xauerio terrarum orbis Illustratus Apotheosim gratulatur”.

La terza e ultima opera, L’ idea dell’apparato fatto per la canonizatione de’ santi Ignatio Loiola, e Francesco Xavier nella chiesa della Casa Professa, è pure di Tommaso D’Afflitto, che qui però dedica il testo “ALL’ILL.MO ET ECC.MO SIG. DON ANTONIO MONCADA DUCA DI MONTALTO Principe di Paternò, &c. Prefetto della Congregatione della Nuntiata nella Casa Professa della Compagnia”, firmandosi quale Secretario della Congregatione. Anche in questo caso, lo scritto poco aggiunge al primo, indugiando, come il secondo, nella trascrizione dei testi, nella minuziosa descrizione delle opere, dei simboli e immagini dei luoghi della vita dei Santi e dell’operare della Compagnia (che ci piace elencare nello stesso ordine dell’autore: Asia, Africa, America, Roma, Toledo, Romagna, Marca Trevigiana, Lombardia, Spagna, Lituania, Toscana, China, Giapone, India Orientale, Sicilia, Napoli, Germania, Portugallo, Francia, Sardegna, Fiandra, Polonia, Aragona, Castiglia, e infine India Occidentale).

La lettura delle tre opere ci consente di immaginare il fasto di quei giorni, di seguire idealmente le processioni, entrare nelle Case e nelle Chiese, ammirarne l’affollata moltitudine di arazzi, pitture, arredi, di ascoltare i canti e le musiche.Nulla, infatti, è rimasto di tutti questi apparati, secondo proprio la definizione dell’effimero di quelle che saranno poi le “feste barocche” della Palermo, forse, felicissima.

Giuseppe Scuderi


Note:

[1]  Gli originali sono conservati presso la Biblioteca centrale della Regione Siciliana, al cui personale della Sezione per i Fondi Antichi va la mia gratitudine per la consultazione e la riproduzione dei frontespizi. Un altro ringraziamento va al Dott. Antonino Lo Nardo, sempre prodigo di notizie e approfondimenti.

[2]  D’AFFLITTO, Tommaso. Ragguaglio de li Apparati & feste fatti in Palermo per la canonizzazione de’ Santi Ignazio & Francesco Xavier l’anno 1622. Per Tomaso d’Afflitto. In Palermo, per Gio.Batt.Maringo, M.DC.XXII. Per la Casa Professa: L’ idea dell’apparato fatto per la canonizatione de’ santi Ignatio Loiola, e Francesco Xavier nella chiesa della Casa Professa della Compagnia di Giesu in Palermo, l’anno mille seicento vintidue doue quelle cose solo si toccano, che d’espositione han bisogno. Per lo signor Tomaso d’Afflitto. In Palermo, Appresso Giouan Battista Maringo. 1622. Con licenza de’ Superiori. La famiglia d’Afflitto è una casata originaria del ducato di Amalfi, documentata almeno dal secolo XI, e rapidamente diffusasi in tutta l’Italia meridionale. Mario Gaglione Brevi note sulla famiglia D’Afflitto, Napoli 2021. Scarne le notizie su Tommaso (1570-1645): scrive Antonino Mongitore (Bibliotheca Sicula, Tomo II, 252) “THOMAS AFFLICTUS Nobilis Panormitanus, literis ornatus claruit. Nonnullis in patria perfunctus et numeribus prefertim anno 1636 & 1641, inter Senatores adscitus Urbem patriam rexisse comperio. Edidit Italice.”

[3]  ONOFRIO, Giovanni, Scenographia de gli apparati del Collegio di Palermo che si fecero per la canonizzazione di santo Ignazio di Loiola e santo Francesco Xaverio, in Palermo, per Decio Cirillo, 1622. L’opera è datata al giorno 27 di agosto 1622.

[4]  Vincenzo La Barbera, di ascendenza ligure ma nativo (1577) di Termini Imerese, soggiornò una prima volta a Palermo dal 1607 al 1608, nel quartiere Albergheria allora fulcro dell’attività artistica della capitale siciliana; dal 1622 si stabilì in città per assolvere alle commissioni per le festività per la canonizzazione. Le committenze gesuitiche e l’appartenenza alla comunità genovese gli permisero di usufruire di ampie committenze da parte del clero e dell’aristocrazia; fu devotissimo di santa Rosalia, sin dalla scoperta delle reliquie, codificandone per la prima volta l’iconografia “vergine romita”.

[5]  Con la usuale misura del palmo siciliano (circa 26 centimetri) ne deriva una dimensione di oltre sei metri.

[6]  Considerando una libbra pari a 317,36 grammi, ne deriva che il peso del cero era di circa mezzo chilo.

[7]  All’interno del Collegio fu intensa l’attività delle Congregazioni Mariane: le prime furono dedicate all’Immacolata, all’Assunzione e al Buon Consiglio (giugno 1589), poi fu fondata quella della Annunciazione (novembre 1592), a seguire quelle della Purificazione (gennaio 1595), della Pietà (o della Missione) nel 1618 e, dopo quelle del Fervore (aprile 1628), del Patrocinio (giugno 1709), della Presentazione (marzo 1710), dello Sposalizio (febbraio 1712) e infine della Conversazione (giugno 1716). Ai nostri fini la fondazione delle Congregazioni interessa poiché ognuna di essa identificava un ambiente, e le date di fondazione costituiscono così un riferimento per la cronologia dei lavori nell’edificio.

[8] In Dalla Domus Studiorum alla Biblioteca centrale della Regione Siciliana. Il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù a Palermo, di Giuseppe e Vincenzo Scuderi, Biblioteca centrale della Regione Siciliana, Palermo, 1994.

[9]  Sinonimo di arazzo.

[10]  A questa data la Compagnia aveva già completato, o almeno avviato, nella Provincia di Sicilia (che comprendeva anche Malta e la Calabria) ben ventuno dei trentadue edifici che realizzerà nella sua storia “edilizia”, sino al 1740. Ne riportiamo, per questi ventuno, la cronologia delle fondazioni tratta dall’Aguilera: 1. Mamertino (Messina) 1546 2. Palermitano 1550 3. Monreale 1553 4. Siracusa 1554 5. Bivona 1555 6. Catanese 1556 7. Reggio Calabria 1564 8. Caltagirone 1570 9. Tirocinio Messina 1576 10. Trapani 1580 11. Domus Palermo 1582 12. Maeneninum (Mineo) 1588 13. Caltanissetta 1588 14. Tirocinio Palermo 1591 15. Lilibeo 1592 16. Melitense (Malta) 1592 17. Chia Domus (una residenza che i gesuiti di Sicilia aprirono nell’isola greca di Scio o Chio) 1595 18. Plateense (Piazza Armerina) 1602 19. Domus Messina 1608 20. Noto 1608 21. Mutycense (Modica) 1610.

[11]  AMATO, Giovanni Maria. De principe templo panormitano, Lib. X. Palermo, Accardo, 1728. La venerazione di San Pantaleone fu ampia sino al medioevo; raffigurazioni del santo si hanno nei mosaici della Cappella Palatina, in quelli del presbiterio del Duomo di Monreale e della Chiesa della Martorana.

[12] La topografia antica di Palermo dal secolo X al XV: memorie di Vincenzo di Giovanni, Tipografia e legatoria del Boccone del povero, Palermo, 1889.

[13]  AURIA, Vincenzo. Diario delle cose occorse nella Città di Palermo e nel regno di Sicilia dal  19 agosto dell’anno 1631 al 16 dicembre 1652 e Diario delle cose occorse nella Città di Palermo e nel regno di Sicilia dal di’ 8 gennaio dell’anno 1653 al 1674. sta in Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia. Prima serie, Palermo, Pedone Lauriel, 1869, v. III-V.

[14]  Ritroveremo, alla metà del secolo, i due apostoli anche come sculture sul prospetto della chiesa. “L’associazione dei gesuiti con questi due Santi risale al fondatore, sempre devoto di San Pietro e che all’intercessione dei due Santi faceva risalire la sua miracolosa guarigione, avvenuta alla vigilia della loro festività”. Il Nadal nei suoi diari annota che “Pietro significa la fermezza e la direzione della nostra Compagnia e Paolo significa per noi i suoi ministeri”. Quanto agli esempi, i due santi si ritrovano in Sicilia nella facciata della chiesa del Collegio di Caltagirone e a Napoli all’interno della chiesa del Gesù Nuovo (informazioni dovute a Antonino Lo Nardo).

[15]  VALLERY RADOT, J. Le Recuil de Plans d’Edifices de la Compagnie de Jésus conservé à la Bibliothèque National de Paris. Roma, 1960

[16]  Quindi alto quasi otto metri, lungo oltre cinque e largo più di tre e mezzo.

[17]  La firma è dello “Affettionatissimo D. Gio: Domenico d’Honofrio”. La prima accademia Partenia (dal latino parthenĭum, dal greco parthénion, derivato di parthénos, vergine) fu fondata nel Collegio Romano “come emanazione di una delle congregazioni mariane formate tra gli studenti, doveva trattare di filosofia e teologia … differiva dalle altre accademie di discipline superiori (teologia, fisica, logica, matematica) … perché i suoi membri non erano selezionati fra tutti i frequentanti del Collegio … ma solo tra quelli che aderivano più strettamente al modello dottrinale, religioso e devozionale della Compagnia”. Ugo Baldini, LEGEM IMPONE SUBACTIS. Studi di filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia (1540-1632), Bulzoni Editore.

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